HACK

HACKMEETING 2003


INTERVISTE ALL'HACKMEETING 2003

Cosa significa essere «hacker»
20 giugno 2003 di Monica Perosino

TORINO. Elettrico, dietro il nick un consulente informatico ventottenne, è una della anime dell'Hacklab torinese. All'Hackmeeting terrà un seminario di informatica di base e di introduzione a Linux: «Essere un hacker vuol dire, innanzitutto, scoprire i funzionamenti della tecnologia e non accettarla passivamente, ma anzi modificarla e migliorarla. Chiunque può essere un hacker: è solo una questione di atteggiamento verso le cose e verso la realtà che ci circonda. Non occorre essere un esperto informatico per voler conoscere quello che utilizziamo e viviamo quotidianamente. Montiamo e smontiamo computer per capire come funzionano; allo stesso modo smontiamo e rimontiamo la realtà - ad esempio quella che ci mostrano gli organi di informazione - per affrontarla con un senso critico e non supinamente. L'etica hacker diventa politica - continua Elettrico - quando, attraverso la tecnologia, si spezzano i meccanismi di mercificazione del sapere, diffondendo la conoscenza».

«L'hacking non è una serie di azioni, è un modo d'essere che ti spinge a guardare dietro lo schermo per capire come funzionano le cose e che ti porta a riflettere su come la tecnologia possa essere usata con dei fini diversi», spiega Kaos.mkr, ventiquattro anni, sistemista, che propone una visione dell'hacking come «attitudine, non esclusivamente informatica: l'essere "hacker" si mostra nella quotidianità anche quando non si usano i computer. Si mostra quando ci si batte per cambiare quello che non ci piace, come l'informazione falsa e l'utilizzo delle tecnologie per offendere la dignità e la libertà. Un hacker è anche chi, di fronte alla lavatrice rotta, non si catapulta nel primo negozio di elettrodomestici per comprarne una nuova, ma, con pazienza, cerca di capire come funziona, sostituisce pezzi, magari sbagliando, la smonta e la rimonta».

La comunità degli hacker usa nick - una sorta di nome di battaglia -, prova, per alcuni di attività illecite e necessità di anonimato: «il mondo virtuale - dice Kaos.mkr - è un mondo che per la maggioranza delle sue dinamiche, funzioni, e rapporti è qualcosa a sé rispetto al mondo reale: dietro il nick c'è un'identità, perché la rete non è un insieme di terminali e fili, ma di identità...»

Come i programmi open source - sistemi operativi che possono essere modificati e adattati da chiunque, usati per qualsiasi scopo e, soprattutto, copiati e distribuiti senza dovere pagare costosissime licenze - anche la comunità digitale è orizzontale, paritaria e libera: «abbiamo abolito le gerarchie: tutto avviene in maniera orizzontale, dal basso, deciso collettivamente».

Takazawa, cuoco di 28 anni, spiega che al meeting ci saranno tanti livelli di partecipazione tra chi terrà i corsi, chi si occuperà dell'accoglienza, chi dovrà installare macchine o fare le pulizie.

A chi li accusa di voluta clandestinità e pirateria «basta far notare che tutto quello che facciamo è pubblico, non criptato, in rete e accessibile a tutti: il fatto è che ad alcune parti di questa società fa comodo relegare in zone clandestine le voci che danno fastidio, quelle che promuovono la controcultura e la controinformazione».

hackmeeting@kyuzz.org